La televisione non esiste: sono solo figurine

PER UNA NUOVA CARTOGRAFIA DEL REALE
Testo base di discussione per l'assemblea svoltasi alla fondazione Mudima di Milano il 14 gennaio 1993.
 
 
Che l'orizzonte della modernità si stia ridefinendo è opinione largamente condivisa e, per poco che vi si pensi, esperienza comune che si va consolidando. Se le arti (intese doppiamente, come da sempre dovrebbero essere, come scarto dalla sensorialità consunta e acquisita, e insieme come lenta e faticosa pratica artigianale) hanno qualcosa da dire in questo processo, questo qualcosa non è certo più una pretesa di assolutezza dello sguardo né una mai sopita voglia platonica di dettare al mondo una nuova norma. E' semmai una lucida aderenza a questo cammino di cui è difficile scorgere lo sbocco, e insieme una fedeltà al desiderio di dire e di capire, forse non più di rappresentare, certo sempre di raffigurare. Le coordinate della transizione, del transito, sono molteplici, ma ci interessa adesso individuare quella che è più vicina alle nostre storie di ricercatori: ed è quella del rovesciamento del predominio dell'immagine, della tirannia del senso della vista e dell'emergere di una nuova rete di rapporti, più ricca e problematica, del corpo col mondo: una rete che contraddittoriamente e faticosamente, nelle nuove condizioni dell'artificiale pervasivo che ha ristrutturato lo stesso concetto di "esperienza", dimostra almeno potenzialmente di poter rimettere in gioco le potenzialità di tutti i sensi, di voler ricostruire (questa almeno la sfida che vale la pena accettare) un'inserzione totale del corpo dell'uomo nel suo ambiente. Un ambiente che non è certo più l'ambiente "naturale" che dai primordi della specie fino alle origini della rivoluzione industriale ha accompagnato il nostro viaggio nel mondo; è semmai quella "seconda natura" che al nascere della nuova civiltà industriale due secoli, due secoli e mezzo fa, fu sentita comprensibilmente dai romantici come una minaccia e che  oggi contiene tanto la prospettiva della catastrofe ecologica planetaria quanto la promessa di una vita più ricca di emozioni e di comunicazione.
La fine della società dell'immagine (e insieme della "società dello spettacolo") deriva paradossalmente dall'ipertrofia dell'immagine, dalla stordente abbondanza di immagini di cui le nuove tecnologie audio e video, analogiche e digitali, hanno riempito la vita e la casa dell'uomo in questo secolo. Certo questa fine non è automatica, non è il prodotto necessario e irrevocabile di un processo storico lineare: molte sono le forze che ad essa si oppongono, gli interessi costituiti, gli abiti culturali, economici e politici cresciuti nella dialettica della società industriale e che sulla vecchia logica ingrassano (o vivacchiano), ma ad essa restano tenacemente abbarbicati. Questo passaggio è solo inscritto nell'ordine delle possibilità, e mai come oggi è interesse e dovere di chi vi crede lavorare perchè si realizzi. Le realtà virtuali sono insieme segno e paradigma di questo passaggio, ed è per questo che possono essere assunte a emblema di un tentativo di ridefinizione del ruolo dell'arte e della comunicazione: questo non significa necessariamente una loro assunzione a tecnologia unica o dominante, ma appunto l'indicazione di un orizzonte di concetti e di pratiche. Le realtà virtuali radicalizzano infatti e portano alle estreme conseguenze processi già avviati dall'avvento dell'immagine elettronica e digitale. In primo luogo esse rimettono in gioco una sensorialità a tutto campo, artificializzano non solo il senso della vista, ma quello dell'udito, del tatto, tendenzialmente tutto il corredo genetico di rapporti dell'uomo col mondo: e insieme sembrano promettere concrete realizzazioni di quella sinestesia, di quello scambio fra i sensi tante volte teorizzato (ma praticato in modo ancora così rudimentale, date le limitazioni della tecnologia) dalle avanguardie storiche. Poi promettono una radicale dislocazione del dilemma "riproduzione della realtà/creazione di un mondo fantastico": proprio perché la realtà virtuale consente una riproduzione del reale tendenzialmente fedele fino all'ultima virgola, la "rappresentazione" cessa di essere un problema centrale, e viene in primo piano il problema delle regole dell'universo fantastico, con tutto il corredo di problemi non solo estetici ma anche etici che tutto questo comporta. In terzo luogo le realtà virtuali alterano radicalmente il rapporto fra autore e fruitore dell'opera. Con esse l'opera non è più conclusa in sé stessa: quella "cooperazione del lettore" (dello spettatore, dell'osservatore) che la semiotica ha anticipato in campo teorico, e diverse esperienze artistiche hanno già concretamente, anche se imperfettamente, praticato come nell'arte programmata), diviene davvero elemento essenziale e costitutivo dell'esperienza estetica. In ultimo le realtà virtuali, estremo prodotto delle tecniche informatiche di simulazione, superano però d'un balzo questo orizzonte e ridefiniscono globalmente le condizioni e le modalità dell'esperienza: esse richiedono perciò una riflessione adeguata della teoria per riformulare il concetto stesso di esperienza e aiutare la pratica a non perdersi in un gioco di infinito raddoppiamento.
In questo quadro risalta la drammatica insufficienza delle pratiche artistiche e critiche tradizionali: anche se a volte il fascino delle battaglie perdute può illudere per un attimo la ragione di trovarsi dalla parte giusta (proprio perché perdente), la sfida dell'universo di immagini-immondizia, della fiera delle volgarità che la morente civiltà di massa ci scarica addosso, non può essere vinta dall'atteggiamento di aristocratico disdegno che riafferma la preminenza della "distanza critica" fra il soggetto e l'oggetto, l'unicità del corpo come centro di gestione e di interpretazione dell'esperienza. L'"aurea regola" della corretta distanza tra il quadro e l'osservatore, la costituzione di un unico e privilegiato punto di fuga come chiave di lettura della prospettiva, non funzionano più quando tutti siamo dentro al quadro, tutti siamo parte del tessuto audiovisivo, del flusso sensoriale che caratterizza l'esperienza contemporanea. Leggere l'opera vuol dire oggi leggere se stessi, come in gigantesco Las meninas in cui non solo il pittore, ma anche ogni osservatore stia dentro al quadro. Neppure l'appello all'irriducibilità e alla primarietà dell'esperienza corporea ha più un senso, quando appunto le realtà virtuali ci consentono non solo l'esperienza di innumerevoli altri io virtuali, ma addirittura la contemplazione di un "alter ego", di un sè disincarnato, che realizza (anche in forme laceranti e dolorose) l'esperienza di un corpo disseminato, dislocato, smaterializzato, trasformato in funzionalità senza con questo essere ridotto a un solo senso.

Tutta la nostra pratica, la nostra ricerca di questi anni, dimostra quanto ognuno di noi sia lontano da una glorificazione della tecnologia o dall'illusione che l'elettronica possa restituire un mondo (reale o fittizio) purificato dalle contraddizioni. Tutti noi, in un modo o nell'altro, abbiamo assunto il matrimonio fra l'uomo e la macchina come uno "sporco connubio", come un elemento di spostamento delle contraddizioni, non di pacificazione o di realizzazione di un'utopia impossibile. Nessuno di noi vuole "uscire dal mondo" senza un'operazione di ridefinizione dei rapporti (se non dei confini) tra reale e immaginario. La condizione preliminare per poter iniziare a cartografare questi nuovi territori è certo quella di assumere sino in fondo la materialità (o l'immaterialità) dell'esperienza, la frammentazione del corpo, anche la disumanizzazione: ma senza il compiacimento cinico di chi cerca nella glorificazione dell'esistente un alibi per la propria impotenza; e con la preoccupazione (che crediamo di aver sempre dimostrato) di far marciare parallelamente la ricerca teorica e la pratica comunicativa. Ecco, questa operazione, ambiziosa ma necessaria, di ridefinizione delle categorie e delle pratiche di lettura e di attraversamento del mondo (dei mondi), di ripresa di un legame fra la teoria e la pratica dentro un agire che è sempre più insieme comunicativo e estetico, è quella che proponiamo oggi. Certo si può fallire. Ma fallirà ancora più profondamente chi non ci avrà neppure provato.

Mario Canali (Correnti magnetiche - Pi greco)
Antonio Caronia
Gino Di Maggio (Mudima)
Antonio Glessi (Giovanotti Mondani Meccanici)
Maria Grazia Mattei
Paolo Rosa (Studio azzurro)
Giacomo Verde

Milano, 14 gennaio 1993

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frames dal video "Stati d'Animo" 1990



ospite di C-Lab.it

Giacomo Verde
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